Aurora Bortoli
A nome del comitato scientifico AIGO

Dovrò sospendere la terapia in gravidanza?
Se continuo la terapia c’è pericolo per il mio bambino?
Ci sono farmaci più dannosi di altri?
La Food and Drug Administration (FDA) americana ha classificato i farmaci per l’uso in gravidanza in differenti categorie di rischio. Nella classe A sono inseriti i farmaci per i quali esistono studi controllati che ne affermano la sicurezza. Nelle categoria da B a D sono inseriti i farmaci per i quali la evidenza di un uso sicuro è supportata da dati progressivamente meno certi, per il fatto che, ad esempio, studi su animali, ma non nell’uomo, mostrano dei rischi, oppure mancano sia studi sugli animali, che studi condotti nell’uomo. Nella categoria X sono raggruppati i farmaci sicuramente da non utilizzare in gravidanza a causa di dimostrati rischi per il feto, tali da superare nettamente i possibili benefici.

Per quanto riguarda i farmaci utilizzati nelle MICI le indicazioni della FDA sono sostanzialmente a favore di un loro uso, considerandoli sicuri o relativamente sicuri, tranne per quanto riguarda il methotrexate e la talidomide, farmaci assolutamente da non utilizzare i gravidanza o se si decide di affrontare una gravidanza.

La mesalazina o 5ASA, inserita nella classe B, è ritenuta sicura, non essendo riportati casi di malformazioni congenite, con l’indicazione comunque a non superare la dose di 3.0 g/die. Gli steroidi e la ciclosporina sono inseriti nella classe C, in quanto sono stati riportati alcuni casi di palatoschisi (“labbro leporino”) imputati agli steroidi e di ritardo della crescita fetale e parti prematuri con l’uso della ciclosporina. Questi farmaci, comunque possono essere molto utili in caso di malattia severa al fine di evitare o ritardare l’intervento chirurgico e favorire la crescita del feto. Va sottolineato che l’intervento chirurgico è sicuramente molto pericoloso per il feto e per la madre. La azatioprina è in classe D non essendoci un rischio aumentato di anomalie congenite, ma un aumento di parti prematuri e una ridotta immunità del feto; inoltre viene consigliato di non superare la dose di 2.0 mg/kg e, soprattutto, di non iniziare il trattamento in gravidanza.

Le informazioni riguardo alla sicurezza degli anticorpi anti–TNF-_ in gravidanza stanno aumentando negli ultimi anni. L’infliximab, utilizzato inizialmente per la Malattia di Crohn, è stato recentemente autorizzato anche per il trattamento della Colite Ulcerosa refrattaria o come terapia “di salvataggio” . I dati riguardo al suo uso in gravidanza specificatamente nelle pazienti con Colite Ulcerosa sono estremamente scarsi. Tuttavia i dati raccolti in pazienti con Malattia di Crohn o con Artrite Reumatoide (patologia in cui è ampiamente utilizzato) sembrano dimostrarne la sicurezza, non essendovi una significativa differenza per quanto concerne i nati vivi, gli aborti spontanei e gli aborti terapeutici rispetto alla popolazione generale. Non vi è neppure evidenza di un aumento di anomalie congenite. Bisogna tenere presente che l’Infliximab, che ha una eliminazione lenta, contiene la regione immunoglobulinica umana G1 che può attraversare la placenta, non durante il primo trimestre (importante per la organogenesi), ma, in particolare, durante il terzo trimestre di gravidanza. Il farmaco, raggiunto il feto per il possibile passaggio transplacentare durante la gravidanza, può permanere presente nel neonato per un periodo prolungato (circa 6 mesi) con la conseguenza, ad esempio, di una riduzione delle difese nei confronti di infezioni. Viene quindi consigliato, ove possibile, di evitare la terapia all’inizio del terzo trimestre di gravidanza. L’Industria raccomanda alle donne in età fertile in terapia con anti TNF-alfa una contraccezione adeguata e ne sconsiglia l’uso in gravidanza. Tuttavia, nella pratica clinica, ogni singolo caso andrebbe discusso valutando i rischi (non del tutto noti) e i benefici della terapia. Nelle pazienti che, per la severità della malattia, necessitano del farmaco, con i livelli di evidenza attuali, si può affermare che il trattamento è probabilmente sicuro. Se una paziente, invece, sceglie di ritardare la gravidanza per evitare l’esposizione del feto al farmaco, sono necessari 6 mesi di sospensione della terapia prima del concepimento. Ancora scarsi sono i dati relativi ad Adalimumab (in classe B) e gravidanza.

Gli antibiotici, come metronidazolo e ciprofloxacina sono collocati nella categoria C e brevi cicli di terapia, evitando il 1^ e 2^ trimestre, non sono risultati dannosi per il feto. Va comunque discussa la effettiva necessità di questi farmaci e va considerata l’alternativa più sicura, se necessaria terapia antibiotica, ad esempio nella pouchite o nella malattia perianale, utilizzando amoxicillina-acido clavulanico o cefalosporine.

Il methotrexate è in classe X per l’aumento di aborti e la associazione con anomalie congenite; è importante ricordare che l’uso di questo farmaco deve essere evitato anche nei 6 mesi precedenti la gravidanza, e nell’uomo andrebbe sospeso almeno 4-6 mesi prima di pianificare una gravidanza.

In sostanza il trattamento delle MICI in gravidanza è sicuro, perché sono individuati i farmaci da non utilizzare assolutamente. Per alcuni farmaci bisogna cercare di bilanciare il rischio, anche se a volte modesto, con il vantaggio che deriva dal riportare la malattia dalla fase di attività alla fase di remissione e quindi togliere la possibilità che la malattia attiva influenzi negativamente la crescita del bambino.
E’ molto importante pianificare la gravidanza durante la fase di remissione della malattia, ma in ogni caso se questa si verifica in fase di attività, se si ha una riacutizzazione o se la malattia esordisce in gravidanza il trattamento deve essere “aggressivo” perché è sicuramente maggiore il danno al feto derivante dalla attività della malattia, rispetto a quello che potrebbe derivarne dal suo trattamento.