Aminosalicilati
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
Sono farmaci derivati dall’acido 5-aminosalicilico (simile all’aspirina) che per primi, all’inizio degli anni ’40, quasi casualmente (perché utilizzati nella terapia delle Artriti), si sono dimostrati efficaci nelle MICI. Il capostipite è la Salazopirina (Salazopyrin) costituita da una molecola di acido 5-aminosalicilico (5-ASA, la componente veramente attiva) legata ad un derivato dei sulfamidici, la sulfapiridina. Questo composto ha la sola funzione di trasportare il 5-ASA fino al colon. A tale livello (e non prima) i batteri presenti nel colon scindono il legame liberando il 5-ASA che quindi funzionerà elettivamente nel colon. Il farmaco è disponibile anche in supposte. I principali effetti indesiderati sono proprio legati alla componente inerte (la sulfapiridina) e sono caratterizzati da cefalea, nausea, dolori addominali, peggioramento della diarrea, eruzioni cutanee su base allergica, riduzione (reversibile) della motilità degli spermatozoi e ridotto assorbimento dell’acido folico. Più raramente si registrano complicazioni epatiche, renali, polmonari, pancreatiche ed ematologiche. Alcuni effetti indesiderati, sono dose/dipendenti e possono essere ridotti raggiungendo il dosaggio prestabilito aumentando la dose progressivamente o assumendo il farmaco dopo i pasti (nel caso di nausea o epigastralgia). Nel complesso però circa il 30-40?i pazienti deve interrompere la terapia perché gli effetti indesiderati diventano intollerabili alla dose di farmaco realmente efficace (da un minimo di 1.6 fino a 4 g al dì).
Per migliorare la tollerabilità da vari anni sono stati sintetizzati altri composti privi della componente sulfamidica. La parte attiva del farmaco, denominata mesalazina, è contenuta all’interno di compresse, capsule, o microgranuli; la liberazione del farmaco avviene in base ai valori di pH presenti nell’intestino, o semplicemente per effetto del tempo. Queste formulazioni consentono l’utilizzo di una maggiore quantità di farmaco (di solito fino a 4.8 g al dì, considerando inoltre che contengono più del doppio della quantità di 5-ASA rispetto alla salazopirina) ed una loro efficacia anche a livello dell’intestino tenue.
Sono molto ben tollerate anche nei pazienti con intolleranza alla salazopirina e in studi su vasta scala meno del 10?i pazienti hanno dovuto interrompere il trattamento. In particolare non è stato più riportato alcun effetto negativo sulla motilità degli spermatozoi, ed essendo privi di effetti teratogeni, questi composti possono essere tranquillamente usati in gravidanza e durante l’allattamento. E’ molto importante però la scelta del composto in base all’area dell’intestino interessata. Sono disponibili anche numerose formulazioni per
via topica in supposte, clismi, schiuma e gel.
Il meccanismo d’azione degli aminosalicilati non è completamente noto, ma si ritiene essere in generale un effetto di tipo antinfiammatorio (e non antidiarroico).
Antibiotici
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
Possono essere impiegati per trattare un’infezione intercorrente in corso di MICI o addirittura come terapia primaria. Nel primo caso va considerato il rischio di riaccensione delle MICI, e quindi vanno somministrati (solo quando clinicamente appropriato) antibiotici a spettro non troppo ampio. Per due antibiotici, il Metronidazolo e la Ciprofloxacina, esistono evidenze che documentano la loro utilità in alcune condizioni cliniche specifiche, soprattutto nelle complicazioni perianali della malattia di Crohn, nelle infiammazioni della pouch ileale e nella prevenzione della recidiva dopo intervento nella malattia di Crohn. E’ ancora in via di validazione la loro efficacia in alcuni pazienti con malattia di Crohn del colon o in terapia sequenziale con i probiotici. Sono comunque farmaci che non si prestano ad un utilizzo prolungato per la frequente insorgenza di reazioni indesiderate. Il Metronidazolo può provocare nausea, cefalea, iporessia, sapore metallico e neuropatia periferica. Tali intolleranze sono particolarmente evidenti quando i due farmaci sono assunti assieme e possono richiedere la sospensione del trattamento fino al 20-30?i casi.
Antidiarroici
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
Sono farmaci derivati dagli oppioidi (codeina fosfato, loperamide, difenossilato) e riducono il numero di scariche intestinali agendo sia rallentando l’attività contrattile, che aumentando il riassorbimento dell’acqua nel colon. L’uso di codeina può indurre dipendenza. Di norma, questi farmaci non vanno assunti perché mascherano le fasi della malattia e soprattutto possono precipitare l’evoluzione in megacolon tossico di una colite severa. Sono indicati quando si è certi che la malattia non è attiva, per ridurre il numero di scariche, ad es. dopo interventi con estese resezioni dell’ileo (nella malattia di Crohn) o resezioni del colon-retto (nella colite ulcerosa), in attesa che si verifichino meccanismi di compenso dell’intestino residuo. Dopo intervento di resezione dell’ileo e della valvola ileocecale si manifesta di solito un malassorbimento dei sali biliari; in questo caso può essere utile l’utilizzo di una resina (la colestiramina), che è in grado di bloccare gli acidi biliari. E’ un farmaco molto ben tollerato ma dal sapore sgradevole.
Antidolorifici
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
Anche questi farmaci vanno assunti con molta attenzione, o meglio evitati, perché possono mascherare la situazione clinica, in analogia agli antidiarroici. In caso di necessità va preferito il Paracetamolo (es. Tachipirina®) Assolutamente da sconsigliare l’utilizzo di antinfiammatori non steroidei come ad es. l’Aulin® (nimesulide) o similari, che possono addirittura far riaccendere una malattia in fase di remissione. La presenza di un dolore addominale intenso è segno, di solito, di una complicanza della malattia (distensione del colon nella colite ulcerosa o stenosi e subocclusione nella malattia di Crohn). Il controllo del dolore passa necessariamente attraverso il migliore controllo della malattia di base e della sua eventuale complicanza.
Azatioprina
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
E’ un farmaco usato dagli anni ’60-’70 nei pazienti sottoposti a trapianto per le sue capacità di ridurre la risposta del sistema immunitario, determinando un’interferenza sul metabolismo del DNA, soprattutto sulle cellule in rapida crescita. Negli ultimi 20 anni si è andata sempre più affermando la sua utilità nelle malattie infiammatorie intestinali con tre indicazioni principali: 1) come terapia di mantenimento, nei pazienti allergici ai salicilati e quindi al 5-ASA; 2) per sospendere e ridurre il fabbisogno di cortisone nelle forme steroido-dipendenti sia in fase di induzione della remissione che nel mantenimento; 3) nel mantenimento della remissione (soprattutto nella malattia di Crohn) nei pazienti steroidodipendenti.
Il farmaco è anche utile nelle forme fistolizzanti di malattia di Crohn. L’effetto terapeutico inizia lentamente e può manifestarsi anche dopo 3-6 mesi.
All’inizio della terapia il farmaco può provocare nausea, dolore epigastrico, mialgie e febbre. Tali disturbi di solito scompaiono dopo alcuni giorni e sono ridotti con un
incremento progressivo delle dosi o frazionandole in più somministrazioni. Più raramente possono manifestarsi alterazioni della funzionalità del fegato o addirittura una pancreatite.
Più temibili sono gli effetti a carico del midollo osseo con possibile inibizione della produzione di globuli rossi, globuli bianchi (più spesso) e piastrine. L’inibizione midollare
non è legata direttamente al dosaggio o alla durata di somministrazione del farmaco, per cui è necessario un controllo periodico dell’emocromo (inizialmente più frequente e quindi
ogni 6-8 settimane). E’ verosimile che questo effetto tossico sia provocato da una carenza determinata su base genetica dei meccanismi enzimatici di eliminazione del farmaco. Tutti
gli effetti indesiderati sono in genere reversibili alla sospensione della terapia.
L’uso di questo farmaco in gravidanza è ritenuto sicuro per il nascituro. Tuttavia questo argomento è dibattuto ed alcuni specialisti, bilanciando rischi e benefici, nonché i possibili
risvolti psicologici, preferiscono valutare l’opportunità di continuare la terapia valutando caso per caso.
Contrariamente ai timori iniziali, non è stato dimostrato che l’uso, anche prolungato, di questo farmaco, aumenti significativamente il rischio di tumori e linfomi.
Mercaptopurina
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
E’ il metabolita (cioè il prodotto del metabolismo) attivo dell’azatioprina. Dopo l’assunzione, l’azatioprina si trasforma in 6-Mercaptopurina che esplica la stessa azione farmacologica con gli stessi effetti indesiderati. E’ più usato negli Stati Uniti, mentre in Europa è più usata l’azatioprina. In caso di intolleranza con uno dei due farmaci, per ragioni non ben spiegate, è spesso possibile utilizzare l’altro senza problemi.
Ciclosporina
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
Questo farmaco è largamente usato dopo i trapianti per prevenire le reazioni di rigetto. Per la sua grande rapidità d’azione, è stato utilizzato nelle forme severe di malattia di Crohn e colite ulcerosa. La sua utilità è stata ben documentata solo nella colite ulcerosa severa, avendo ridotto del 40-60% la frequenza d’intervento chirurgico di colectomia in urgenza nei pazienti che non avevano risposto agli steroidi. Purtroppo dopo 1-2 anni circa 1/3 dei pazienti che rispondono alla ciclosporina comunque è sottoposto ad intervento per una
recidiva della malattia. Questo dato, unito al verificarsi di casi di morte per infezioni opportunistiche durante la terapia, ha sminuito sostanzialmente il ruolo del farmaco.
Attualmente l’orientamento generale è di utilizzare la ciclosporina dopo il fallimento degli steroidi nelle forme di colite severe (soprattutto se al primo episodio), in accordo con la valutazione del chirurgo, solo in centri che abbiano ampia esperienza con il suo uso.
L’utilizzo della preparazione orale in emulsione (Sandimmun Neoral®) ha dimostrato la stessa efficacia della somministrazione per via endovenosa continua. Il farmaco è proponibile però, per i suoi gravi e talora irreversibili effetti collaterali, solo nella fase acuta del trattamento, mentre è consigliabile usare l’azatioprina nel mantenimento della remissione. Il farmaco è utile anche nel pioderma gangrenoso, una grave e rara
manifestazione cutanea che si riscontra in corso di colite ulcerosa. L’utilità della 4 ciclosporina nella m. di Crohn è risultata meno chiara, più evidente nelle forme fistolizzanti, e comunque con una quasi costante recidiva alla sospensione. La disponibilità di altre efficaci opzioni terapeutiche (es. infliximab) ha reso più raro il suo utilizzo.
Gli effetti collaterali più temibili (perché spesso non reversibili) sono quelli di danno renale. Va ricordata anche la possibilità di indurre tremori, convulsioni, irsutismo, nausea, cefalea, ed ipertensione arteriosa. Per ridurre il rischio degli effetti collaterali sono necessari controlli periodici dei livelli plasmatici del farmaco.
Corticosteroidi
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
Sono i farmaci cardine nella terapia della colite ulcerosa e malattia di Crohn sin dall’inizio degli anni ’50 e hanno consentito una sostanziale riduzione della mortalità connessa alle fase di severa attività di queste malattie. Sono ancora i farmaci di scelta nelle fasi acute quando la malattia ha un’attività moderata o severa e circa l’80?i pazienti risponde al trattamento. Il reale problema di questi farmaci è il numero dei pazienti che possono sviluppare una dipendenza (fino al 30-40%) e gli inevitabili effetti indesiderati che si verificano al prolungarsi della durata della terapia.
I corticosteroidi sono ormoni normalmente prodotti in piccole quantità nel nostro organismo nei surreni (piccole ghiandole situate proprio al di sopra dei reni) con l’importante funzione di regolare il bilancio del sodio e consentire un’adeguata risposta dell’organismo allo stress, ma hanno anche effetti sulla pressione arteriosa ed i livelli di glicemia. Quando assunti a scopi terapeutici in compresse, iniezioni o per via topica (clismi
e schiume), esercitano un formidabile effetto antinfiammatorio che può manifestarsi non solo a livello dell’intestino ma anche a distanza (ad esempio in caso di dolori articolari di origine infiammatoria). Una volta ottenuto l’effetto desiderato sul controllo dei sintomi, è necessaria una riduzione graduale del dosaggio per evitare una precoce ricomparsa dei sintomi e consentire una ripresa della funzione dei surreni. L’inibizione prolungata dei surreni può determinare nausea, astenia intensa o un’insufficiente risposta ad uno stress
(ad es. in caso di infezione o dopo un intervento).
La lista degli effetti indesiderati di questi farmaci e particolarmente lunga e può essere distinta in effetti nel breve e lungo termine, di solito dipendenti dal dosaggio e durata della terapia, non sempre reversibili alla sospensione della terapia.
Effetti temporanei
Aumento dell’appetito
Viso a forma di “luna piena”
Acne, irsutismo
Aumento glicemia
Ritenzione di sodio con edemi declivi
Aumento pressione arteriosa
Cambio di umore (euforia, depressione)
Insonnia
Ridotta resistenza alle infezioni
Effetti prolungati
Decalcificazione delle ossa
Miopatia
Diabete
Necrosi testa del femore
Glaucoma, cataratta
I cortisonici più usati (idrocortisone, prednisone e metilprednisolone) sono in generale farmaci di straordinaria utilità; il problema è di utilizzarli il minimo indispensabile, minimizzando gli effetti indesiderati. Qualora si verifichi la situazione di steroidodipendenza, bisognerà cercare di introdurre quanto prima altri farmaci quali gli immunomodulatori (es. azatioprina). Per quanto riguarda invece gli effetti indesiderati, sono stati sviluppati una serie di “nuovi“ cortisonici (budesonide, beclometasone dipropionato, ecc.) che hanno la caratteristica di essere più rapidamente eliminati dal fegato e pertanto determinano meno effetti collaterali sistemici. Al momento in Italia è disponibile il beclometasone in compresse (Clipper®), clismi (Topster®, Clipper®, Klostenal®), schiuma rettale (Topster®), supposte (Topster®) e la budesonide in compresse (Entocir®, Rafton®), per la quali sono disponibili maggiori studi ed evidenze.
Entrambi questi farmaci comunque, seppure gravati di minori (non assenti) effetti collaterali, non sono utili per la terapia di mantenimento (vedi di seguito).
Methotrexate
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
E’ un farmaco che determina un’attiva inibizione del sistema immunitario. In origine è stato usato in alcuni schemi di terapia, ad es. nei linfomi. Successivamente, l’uso a più bassi dosaggi si è rivelato utile in altre malattie croniche caratterizzate da un’abnorme attivazione del sistema immunitario come l’Artrite Reumatoide e la malattia di Crohn.
Come l’azatioprina e la 6-Mercaptopurina, consente di sospendere o ridurre il fabbisogno di steroidi nei pazienti con steroido-dipendenza, e può essere utile nel mantenimento della remissione. Può essere somministrato per via intramuscolare (1 volta/settimana) o per bocca (ma è un po’ meno attivo); di solito è usato in caso di intolleranza all’azatioprina, in quanto è più frequentemente gravato da effetti collaterali. Può determinare nausea, vomito, stomatiti e diarrea (a dosaggi più alti). Inoltre può ridurre il numero dei globuli bianchi e soprattutto determinare un danno epatico non sempre reversibile. E’ necessario pertanto un controllo periodico continuo dell’emocromo e delle transaminasi. Non può essere usato in gravidanza.
Infliximab
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
E’ una delle più concrete novità nel campo della terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali e può determinare anche un cambio della strategia terapeutica. E’ un anticorpo di origine animale (derivato dal topo di laboratorio) ma “umanizzato” al 75% con tecniche di ingegneria genetica, in grado di “bloccare” il TNF (letteralmente “fattore di necrosi tumorale”, ma in questo caso con i tumori non c’entra affatto). Il TNF è un
importante mediatore dell’infiammazione, una molecola (detta citochina) prodotta dai linfociti, attivati a seguito di meccanismi non ben noti nel caso della malattia di Crohn.
Questa sostanza però determina molti degli effetti negativi (anche a distanza) della cronica infiammazione dell’intestino. L’anticorpo è in grado di legarsi al TNF libero ed a quello legato alla membrana cellulare bloccandone l’attività. Dall’Aprile del 2000 questo farmaco è in commercio in Italia con il nome Remicade® per esclusivo uso ospedaliero nella malattia di Crohn con fistole cutanee e comunque non rispondente alla terapia
tradizionale. Si somministra per via endovenosa ed il suo effetto dopo una singola infusione si prolunga in media per circa 2 mesi. E’ senza dubbio il farmaco più attivo nelle fistole, anche se alla scomparsa dell’effetto nel tempo le fistole tendono a riapparire. In generale è molto ben tollerato, salvo per la comparsa di possibile reazioni allergiche o a tipo ipersensibilità ritardata (come per i vaccini). Fino al 10% circa dei pazienti trattati
possono sviluppare anticorpi contro il farmaco (per la sua natura biologica non completamente “umana”), e per questa ed altre ragioni il suo effetto sembra ridursi nella terapia prolungata a lungo termine. La segnalazione di casi di riaccensione di tubercolosi con conseguenze anche mortali, ha richiamato la necessità di escludere con attenzione (anamnesi, visita, Rx Torace e test alla tubercolina) questa eventualità prima di iniziare il trattamento. Tale precauzione era del resto ben nota comunque agli specialisti, anche nel
caso dell’utilizzo di steroidi ed altri immuno-modulatori. Nel marzo 2006 è stato approvato in Italia l’utilizzo dell’infliximab anche per la cura della Rettocolite Ulcerosa, in particolare per i pazienti con malattia attiva moderata-severa resistenti alla terapia convenzionale.
Altre molecole anti-TNF che agiscono con diversi meccanismi d’azione sono in avanzata fase di sperimentazione.
Adalimumab
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
Dal Novembre del 2007 è disponibile anche l’ADALIMUMAB, nome commerciale HUMIRA® che sembra avere le stesse caratteristiche dell’Infliximab, con il vantaggio di poter essere somministrato per via sottocutanea direttamente dal paziente. Inoltre essendo totalmente umano, potrebbe evitare o ridurre le reazioni di tipo immunologico provocate dall’Infliximab (reazioni infusionali, auto-anticorpi, ecc.). Attualmente in Italia l’Humira può essere utilizzato solo nella m. di Crohn e non nella Colite Ulcerosa.
Nicotina
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
L’osservazione che la colite ulcerosa si presenta spesso alla sospensione del fumo, ha portato ad ipotizzare che la nicotina potesse avere un ruolo nella terapia. In effetti, alcuni studi hanno dimostrato che l’uso di cerotti con liberazione transdermica di nicotina era più efficace del placebo, ma non in maniera superiore alla mesalazina. Non c’è pertanto nessuna buona ragione per suggerire di riprendere il fumo in questi pazienti
Supporto nutrizionale
Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO
Nelle MICI si verifica di solito una cronica perdita (anche solo microscopica) di sangue dalle aree d’intestino infiammate. Questo determina spesso una situazione di carenza di ferro (costituente essenziale dell’emoglobina) che può essere ancora più marcata nel sesso femminile (a causa delle perdite mensili) e determinare una situazione di anemia. E’ necessaria pertanto una verifica periodica del livello di emoglobina (emocromo), dei livelli sierici di ferro (sideremia) e dei depositi di ferro (ferritina). In caso di carenza è necessaria l’assunzione di ferro per bocca o per via endovenosa. Sono sconsigliabili le iniezioni intramuscolari perché dolorose, scarsamente assorbite e perché inoltre determinano fastidiosi “tatuaggi”. Le formulazioni di ferro per bocca possono determinare spesso intolleranza gastrica (dolori, nausea) e talora possono indurre diarrea. Nel primo caso si consiglia di assumere composti a base di ferro che possono essere assunti dopo il pasto (es. Ferrograd®). In caso di scarso assorbimento o marcata intolleranza è indispensabile la somministrazione endovenosa che deve essere molto lenta e può indurre reazioni allergiche.
Supplementi di vitamina B12 sono necessari solo in caso di resezioni molto estese dell’intestino tenue. Viceversa sono indispensabili supplementi di acido folico durante terapia con salazopirina, azatioprina, 6-mercaptopurina, metotrexate e nel caso di precedenti episodi trombotici.
Quando è possibile una normale alimentazione, sufficientemente variata, non sono indispensabili supplementi di vitamine o oligoelementi (zinco, rame, selenio ecc.). Viceversa, dopo resezioni molto estese dell’intestino tenue o marcata iporessia (scarso appetito) è utile il supplemento con integratori nutrizionali per i quali è necessaria un’adeguata informazione specialistica (quelli del supermercato non vanno bene).
In caso di riscontro di osteoporosi è senz’altro opportuna l’aggiunta di supplementi di calcio e vitamina D. Nei casi più gravi e resistenti è necessaria una valutazione specialistica per l’utilizzo di farmaci specifici come i difosfonati.