Elisabetta Colombo, Vito Annese
A nome del comitato scientifico AIGO

E’ un farmaco usato dagli anni ’60-’70 nei pazienti sottoposti a trapianto per le sue capacità di ridurre la risposta del sistema immunitario, determinando un’interferenza sul metabolismo del DNA, soprattutto sulle cellule in rapida crescita. Negli ultimi 20 anni si è andata sempre più affermando la sua utilità nelle malattie infiammatorie intestinali con tre indicazioni principali: 1) come terapia di mantenimento, nei pazienti allergici ai salicilati e quindi al 5-ASA; 2) per sospendere e ridurre il fabbisogno di cortisone nelle forme steroido-dipendenti sia in fase di induzione della remissione che nel mantenimento; 3) nel mantenimento della remissione (soprattutto nella malattia di Crohn) nei pazienti steroidodipendenti.
Il farmaco è anche utile nelle forme fistolizzanti di malattia di Crohn. L’effetto terapeutico inizia lentamente e può manifestarsi anche dopo 3-6 mesi.
All’inizio della terapia il farmaco può provocare nausea, dolore epigastrico, mialgie e febbre. Tali disturbi di solito scompaiono dopo alcuni giorni e sono ridotti con un
incremento progressivo delle dosi o frazionandole in più somministrazioni. Più raramente possono manifestarsi alterazioni della funzionalità del fegato o addirittura una pancreatite.
Più temibili sono gli effetti a carico del midollo osseo con possibile inibizione della produzione di globuli rossi, globuli bianchi (più spesso) e piastrine. L’inibizione midollare
non è legata direttamente al dosaggio o alla durata di somministrazione del farmaco, per cui è necessario un controllo periodico dell’emocromo (inizialmente più frequente e quindi
ogni 6-8 settimane). E’ verosimile che questo effetto tossico sia provocato da una carenza determinata su base genetica dei meccanismi enzimatici di eliminazione del farmaco. Tutti
gli effetti indesiderati sono in genere reversibili alla sospensione della terapia.
L’uso di questo farmaco in gravidanza è ritenuto sicuro per il nascituro. Tuttavia questo argomento è dibattuto ed alcuni specialisti, bilanciando rischi e benefici, nonché i possibili
risvolti psicologici, preferiscono valutare l’opportunità di continuare la terapia valutando caso per caso.
Contrariamente ai timori iniziali, non è stato dimostrato che l’uso, anche prolungato, di questo farmaco, aumenti significativamente il rischio di tumori e linfomi.